domenica, 28 aprile 2024
INTERVIEW

Tra Maradona e Messi: Un viaggio nel cuore del calcio argentino con Emiliano Guanella

Emiliano Guanella non è semplicemente un giornalista, ma un vero e proprio intellettuale e esperto di cultura sudamericana a 360°. Negli ultimi vent’anni infatti, non ha solo vissuto nel continente sudamericano, ma ne ha raccontato le mille sfaccettature, le sue bellezze e le sue problematiche.

Lo abbiamo intervistato a seguito dell’uscita del suo nuovo libro “Argentina, la passione. Il Paese del calcio, da Maradona a Messi”

Ciao Emiliano, e grazie per il tempo che ti sei ritagliato per questa intervista. Cominciamo subito allacciandomi al tema del libro, ovvero la passione, che non è solo il leit motiv di questo tuo nuovo lavoro, ma proprio del modo di essere dei sudamericani e degli argentini in particolare. Ci puoi raccontare che cos’è per te il Sud America?

Ciao e grazie a voi per l’ospitalità. Il Sud America è stato sempre nel mio destino e si può dire che il mio amore per l’Argentina nasce sui libri. Già all’università scrissi una tesi sull’immigrazione italiana in Argentina tra il 1880 e il 1920, e cominciai a divorare libri di letteratura argentina dell’800.

A fine ’99 ebbi la fortuna di vincere una borsa di studio per continuare gli studi sull’immigrazione e andai in Argentina, diventando io stesso un immigrato italiano in quel paese, praticamente ero diventato ciò che che era l’oggetto dei miei studi. Inizialmente dovevo restare un anno, ma ormai ne sono passati 24 (sorride, ndr).

Da lì ho cominciato a collaborare con varie testate, avendo già il pallino di diventare giornalista, ed ebbi la possibilità di raccontare avvenimenti diversi dal Cile al Brasile, dal Messico al Venezuela. Nel 2013 ho deciso autonomamente di lasciare Buenos Aires e partire alla volta del Brasile, avendo in mente di coprire i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016 direttamente da lì.

Così ti sei “reinventato” giornalista sportivo.

Si, esatto. Io nasco come giornalista economico-politico, ma il calcio è talmente importante in Sud America che è davvero un fattore sociale molto importante e impossibile da trascurare.

Mi accorsi che il 10% dei miei reportages (anche quelli di Sky, con cui ha collaborato 10 anni, ndr) riguardava o comunque cominciava con Maradona, e quello fu lo spunto per il mio primo libro “Ho visto Maradona senza pallone”, un libro che racconta il mio punto di vista su Maradona degli anni dal 2000 al 2010, anni appunto in cui non giocava (da lì il “senza pallone”), e dove volevo raccontare ciò che è Diego fuori dal campo e come personaggio a tutto tondo, essendo una figura che non può essere limitata solo alla parte calcistica.

Questo nuovo libro in parte riprende quei concetti lì, perché parla del mondiale vinto dall’Argentina, raccontando aneddoti e storie di tifosi, e volendo dimostrare come gli argentini vivino la vita allo stesso modo di come vivono il calcio. Si può trovare facilmente quella passione che hanno nel vivere il calcio, anche quando parlano di Peron, di tango o se il mate si beve con o senza zucchero.

Una passione che a volte può essere esasperata, vedi i casi delle barra bravas (un misto tra gang e gruppi ultras, particolarmente violente, ndr) e di violenza che racconto nel libro, così come i casi di corruzione nel calcio argentino. Insomma, il calcio è una straordinaria metafora per raccontare un paese, e chi pensa che sia solo uno sport con 22 persone intorno ad un pallone si sbaglia di grosso, ancor di più in America Latina.

Nel libro racconti storie e aneddoti di tifosi argentini che hai raccolto nel corso degli anni, qual è quella che ti è rimasta più impressa?

Quella che più mi piace e che dimostra l’amore irrazionale verso la propria squadra è sicuramente quella di un tifoso dell’All Boys, squadra che ha sempre militato nella seconda o terza divisione (da non confondere con il Newell’s Old Boys), che si presentò alla segreteria del club con l’immagine del feto che sua moglie stava aspettando, perché voleva fargli la tessera di socio del club.

Ci è voluta una buona mezz’ora per convincerlo che solo chi è nato poteva avere la tessera, e solo facendogli capire che poteva portare sfortuna al buon esito della gravidanza. Una settimana dopo la nascita comunque, lo ha riportato nella sede e ha fatto l’agognata tessera del club al figlio.

Ma potrei raccontare del tifoso di Nueva Chicago che si è fatto una trasferta di Coppa Argentina con la moglie all’ottavo mese e mezzo di gravidanza, o ancora di Federico, tifoso del Boca, che si è ripreso dalla depressione dovuta alla morte prima della moglie e poi del padre andando alla Bombonera e ritrovando una famiglia tra gli aficionados xeneizes.

Amore irrazionale che, come si è visto nell’ultima finale di Libertadores in cu giocava il Boca, porta persino dei padri ad accettare sacrifici dei figli, anteponendo la presenza alla finalissima anche al loro futuro. Difatti c’è stato un padre che si vantava del fatto che il figlio avesse speso i soldi delle borse di studio da lui guadagnate per pagare il viaggio per il Brasile, dove si teneva la partita.

Aspetto familiare che è molto presente nel libro.

Si, ci sono molte storie di papà che portano il bambino per la prima volta allo stadio per fargli il “battesimo”. Il tramandare della passione calcistica di generazione in generazione è una cosa importantissima per gli argentini.

Molte volte il rapporto padre-figlio si crea grazie a giornate intere passate alla “cancha” (lo stadio, in argentino, ndr). Inoltre, spesso e volentieri, i club di divisioni inferiori non sono solo squadre di calcio ma si chiamano letteralmente “club social y deportivo”, a testimonianza della concezione di un club che sia aggregante per la comunità intera.

Durante la crisi del 2001-2002 ad esempio, questi club rimasero aperti e organizzarono pentolate popolari per dar da mangiare alla gente, organizzavano mercati del baratto per consentire alle persone di scambiare oggetti che non usavano con altri che gli potevano essere utili, divenendo a tutti gli effetti centri di condizione sociale.

Anche dal punto di vista della criminalità, tolsero molti bambini dalle strade, facendoli giocare a calcio, un po’ come succedeva da noi con l’oratorio, solo che al posto di Dio per loro c’è il calcio.

Passiamo alla vittoria del mondiale. Dopo aver vissuto 14 anni in Argentina, immagino tu ti senta un po’ argentino, cosa hai provato al rigore vincente di Montiel?

Questa è una storia divertente: innanzitutto sappi che il gol di Montiel non l’ho visto live. Quel giorno lì ero al Parque di Buenos Aires, nel quartiere Palermo, dove c’era il maxischermo, a fare il servizio per la televisione svizzera.

Essendoci un’enormità di persone però, sul finire della partita mi sono dovuto allontanare in quanto il segnale televisivo non prendeva e al fischio finale mi sarei dovuto collegare per la diretta. Quindi ci siamo ritrovati io, il cameraman, l’assistente (entrambi argentini) e 4-5 venditori ambulanti peruviani su una avenida a circa 600 metri dal maxischermo, senza televisione, con loro che aspettavano le mie notizie mentre io sentivo la partita alla radio.

Il segnale radio chiaramente arriva in anticipo rispetto a quello visivo, quindi alla fine ho anticipato l’esultanza di circa 3 secondi rispetto al resto del paese.

La cosa buffa è che quando mi collegai con la televisione svizzera, fermai il primo passante per raccogliere le sue emozioni, ma incredibilmente era uno svedese, e in studio questa scena creò parecchia ilarità.

Il mondiale ha visto una diversa narrazione del calcio (e del calcio argentino), anche sulle reti RAI, come vedi questo tipo di “scimmiottamento” delle telecronache argentine?

Io credo che sia importante vedere nuovi modi di far telecronaca e apprezzo chi cerca di portare delle novità, però bisogna sempre conoscere e riportare il contesto, cosa che non succede mai in Italia.

Per esempio, ora che Milei è salito al potere in Argentina, tutti ne descrivono le eccentricità, ne sottolineano i difetti e gli argentini sono passati per dei pazzi per averlo votato, ma non vengono raccontati i motivi che hanno portato ad una votazione del genere, in primis il problema dell’inflazione che in Argentina ha raggiunto delle percentuali da capogiro.

La stessa cosa poi la vediamo nella narrazione sportiva. Spesso sento termini argentini buttati un po’ a caso, o urla indemoniate nel tentativo di ricordare i grandi telecronisti argentini, con la differenza che in Argentina c’è una vera e propria scuola di telecronaca, dove viene insegnato come veicolare la propria passione.

Conoscendo alcuni dei più grandi cronisti argentini, capisci anche come la loro umiltà sia il segreto del loro successo, e questo per me è un punto fondamentale: il giornalista non deve diventare il protagonista della storia.

Ora vivi in Brasile, dove hai messo su famiglia. Scriverai un libro sul calcio brasiliano?

No, non potrei mai perché il calcio brasiliano non mi appassiona come quello argentino.

È vero che per certi versi mi sento anche un po’ brasiliano, per via di mia moglie, ma il calcio a queste latitudini è molto più lento e possibilmente anche meno folkloristico rispetto a quello argentino, e non sono riuscito ad appassionarmi come invece mi è accaduto per il Boca e per il futbol albiceleste

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