giovedì, 25 aprile 2024
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Nick Kyrgios: talento e follia in un mare di umanità

Ci sarebbero mille modi per definire Nick Kyrgios, ma per far capire anche ai meno avvezzi del mondo del tennis di che personaggio stiamo parlando, possiamo riprendere una dichiarazione dell’australiano risalente a gennaio, rilasciata a “Impaulsive Podcast”: “Penso di essere il tennista meno professionale del circuito: non mi riscaldo prima degli incontri, non ho un coach perchè non fa per me, – unico tennista tra i top 100 ad essere senza allenatore – so tutto di me dall’età di sette anni […]”

Nato a Canberra il 27 aprile del 1995, viene definito da molti addetti ai lavori come “il migliore della sua generazione”, ma a tanto talento Kyrgios affianca una dose alquanto elevata di follia.

Il tennis, nell’immaginario collettivo, è uno sport da alta borghesia: pubblico in silenzio, arbitri che richiamano all’ordine, massimo fair play tra gli avversari. Ecco, probabilmente è per questo che un personaggio come quello di Nick fa strano nel mondo del tennis: colpi stravaganti, azioni plateali (come ad esempio le racchette rotte in un impeto di rabbia dopo un errore) e tante proteste con gli arbitri.

Sempre nella stessa occasione, l’australiano affermava: “Il tennis ha regole stupide e infatti litigo sempre con gli arbitri. Ho ricevuto tante multe, ma in realtà sono il migliore: non faccio nulla di eclatante, sono soltanto me stesso”.

Nel 2016, in occasione del torneo Shanghai Rolex Masters 2016, Kyrgios decise volontariamente di perdere il match contro il tedesco Misha Zverev (fratello maggiore del maggiormente noto Aleksander), in quel momento alla posizione 110 del ranking ATP: fin da subito l’australiano sembra svogliato, inizia a battere in modo molto potente ma senza badare troppo alla precisione.

Nel secondo set, al contrario, regala i punti all’avversario battendo dal basso, il tutto in mezzo ai fischi del pubblico stizzito da tale atteggiamento. All’inizio dell’ultimo game, Kyrgios si rivolge all’arbitro dicendogli:“Puoi chiamare il Time così finisco questa partita e me ne vado a casa?”. Al termine del match, l’ATP decide di squalificare il tennista australiano per otto settimane di tournament weeks oltre ad una multa di $25,000.

Dietro queste scene, apparentemente inspiegabili per un professionista, c’è una storia privata molto complessa. In un post su Instagram del 24 febbraio 2022, Kyrgios con il cuore in mano confessava: “Questo ero io 3 anni fa agli Australian Open. La maggior parte darebbe per scontato che stavo bene mentalmente o che mi stavo godendo la vita… in realtà è stato uno dei miei periodi più bui. Se guardi da vicino, sul mio braccio destro puoi vedere i segni del mio autolesionismo. Avevo pensieri suicidi e stavo letteralmente lottando per alzarmi dal letto, figuriamoci per giocare davanti a milioni di persone. Ero solo, depresso, negativo, abusavo di alcol, droghe, allontanavo la famiglia e gli amici. Mi sentivo come se non potessi parlare o fidarmi di nessuno. Questo è stato il risultato della non apertura e del rifiuto di appoggiarmi ai miei cari”.

Forse, allora, ragionando, basterebbe pensare che in fondo è tutto qui: siamo abituati a giudicare, più per invidia che per altro, le azioni di un fenomeno sul campo da gioco imputandogli strafottenza e mancanza di umiltà.

Basterebbe pensare alla persona che sta dietro al giocatore e, perché no, fermarsi ad ammirare l’arte prodotta dallo stesso, godendo della fortuna che abbiamo a vivere nella stessa epoca di questi fenomeni. Kyrgios, sicuramente, anche al suo rientro dall’infortunio non cambierà e continuerà a stupire tutti, nel bene e nel male.

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