#CALCIOPOPOLARE: ALLA SCOPERTA DEL BRERA CALCIO, LA TERZA SQUADRA DI MILANO.
Pop, sinonimo di popolare. Ed è proprio questo il calcio che ci piace, quello che ci appassiona e ci fa scoprire realtà calcistiche e sportive che sono delle mosche bianche nel panorama calcistico nazionale legato troppo alle logiche di business e profitti. Il calcio è di tutti, è un fenomeno popolare.
Ecco perché abbiamo deciso di inaugurare una serie di interviste che vogliono portare alla luce società, protagonisti e progetti popolari. Il nostro viaggio inizia da Milano. Esattamente dal BRERA CALCIO. Dalle parole del Presidente Alessandro Aleotti percepiamo la grande passione e l’amore per la sua creatura. Oltre la grande ambizione di diventare un club di standing internazionale in Europa. Conosciamo insieme la “terza squadra di Milano”.
Sicuramente la continua innovazione. Finora il Brera è stato un continuo laboratorio di invenzioni calcistiche. Molte cose hanno avuto un esito importante, soprattutto sul piano sociale, mentre altre, anche fallendo, hanno dimostrato la loro utilità. Ad esempio, quando abbiamo fatto gestire integralmente per un anno la squadra dai tifosi e siamo retrocessi, abbiamo capito che la gestione calcistica riesce a sposarsi difficilmente, in termini di governance, con la volontà espressa dai tifosi.
Noi riteniamo che il calcio sia e debba sempre essere pop. Talvolta, con la dizione di “calcio popolare”, si è voluta creare una sottolineatura di tipo politico antagonista che, seppur legittima, non appartiene al nostro modo di vedere il calcio. Il calcio, se fatto con intelligenza e sapienza, è sempre un fenomeno popolare.
Passione, costanza e territorialità. Quanto è importante il rapporto con la comunità locale e quale l’impatto sul territorio?
In linea generale, questi sono aspetti importantissimi di un club. Una squadra di calcio, infatti, è una delle migliori rappresentazioni dello spirito di un territorio. Il caso del Brera è da questo punto di vista un po’ particolare perché noi esprimiamo una dimensione, come quella milanese, che si è ormai molto disancorata dal territorio. In questo senso siamo una squadra che ha come mission il collegamento tra il locale e il globale (oggi si dice glocal) e questo spiega la nostra grande attenzione – e le nostre strategie future – rivolta a una presenza della nostra identità in tanti altri paesi, europei e non.
Come detto sopra, la nostra attuale prospettiva strategica è molto proiettata su una dimensione globale. Grazie anche agli investitori statunitensi che credono nelle nostre idee potremo finanziare un ingresso nel professionismo che non avverrà in Italia, ma portando il nostro brand in altri campionati, in Europa e nel mondo. L’idea è quella di diventare un club di standing internazionale in Europa, giungendo, grazie alla partecipazione in campionati in Paesi minori ma di massima serie, alle tre grandi competizioni internazionali.
Progetti sportivi e sociali del passato e del futuro. A quale siete maggiormente legati e quale il progetto di cui siete più orgogliosi.
Nel passato abbiamo veramente esplorato moltissime dimensioni, ma probabilmente il progetto sociale che più ci è rimasto nel cuore e che maggiormente ha determinato un impatto è stato FreeOpera Brera, la squadra di detenuti fatta nascere nel 2003 nel Carcere di Opera e la prima squadra in Italia composta da detenuti a partecipare a un campionato ufficiale FIGC di Terza Categoria. Attualmente, l’iniziativa di cui siamo più orgogliosi in questo nostro profilo di progetti che danno senso a una squadra dilettante è l’aver organizzato il FENIX Trophy, il primo torneo europeo per squadre dilettanti “cult” riconosciuto dalla UEFA e giunto alla seconda edizione.
Nel 2000, con l’affidamento della squadra a Walter Zenga, il Brera è subito diventato un “caso” mediatico e sportivo. Cosa vi rende unici ancora oggi nel panorama sportivo attuale?
La straordinarietà del Brera è che, nonostante sia praticamente scomparso dai ranking calcistici tradizionali (ai tempi di Zenga eravamo in Serie D e ora siamo in Seconda Categoria), continuiamo a essere di gran lunga percepiti come la “terza squadra di Milano”. Questa apparente contraddizione è in realtà spiegata dal fatto che la nostra capacità di inventare progetti calcistici è sempre andata avanti in una dimensione crescente, quindi siamo riusciti a superare anche la logica tradizionale delle categorie calcistiche.
In questo, c’è qualche indizio di “saper fare calcio”. Naturalmente, dovendo affrontare il calcio professionistico non possiamo certo pensare di farlo in una logica amatoriale, ma crediamo che la nostra filosofia calcistica sia soprattutto fondata sulla responsabilità individuale e la capacità di innovare.
Brera Football Village, la “casa dei neroverdi”, quanto è importante per una società sportiva puntare su stadi e strutture di proprietà o di diretta gestione?