venerdì, 19 aprile 2024
CULTURE

Tutti pazzi per Materazzi di Mario Rucano

Marco Materazzi è una delle tante canzoni del mondo del calcio che però nessuno ascolta fino in fondo, convinta che dopo il primo ritornello vada avanti uguale.

Ha, invece, un inciso molto interessante, a volerlo ascoltare.

L’inciso, la variante, il bridge, il middle eight. Tanti modi per definire quel giro di accordi e quella melodia diversi da strofa e ritornello, che però spesso hanno il merito di dare un senso alla canzone e che sospendono le certezze del momento per portarci da un’altra parte.

Odiato sportivamente da tutti, idolatrato dagli interisti, lui stesso di questa bipartizione manichea ha fatto un vanto.

Sarebbe interessante, per una volta, andare oltre l’immagine del provocatore, picchiatore, arringatore di folle e vittima di cori da curva. Mettere da parte i luoghi comuni e concentrarsi su altro, a partire dal campo.

Marco Materazzi aveva un piede sinistro che la maggior parte dei difensori di allora e di oggi si sognano. Decine di gol segnati, cecchino (quasi) infallibile dal dischetto, formidabile “capocciatore” sui calci d’angolo: niente di tutto questo è bastato ad allontanarlo dall’etichetta di picchiatore da area di rigore.

Il tifoso che scrive è convinto che senza di lui, e con il più forte e celebrato Alessandro Nesta, non avremmo mai vinto i Mondiali del 2006. Non solo: quell’estate di grazia calcistica per lui è durata un anno intero, e la stagione 2006/2007 lo ha visto come perno imprescindibile della difesa nerazzurra.

Dieci anni di Inter, tanti trofei e anche qualche inevitabile “cagata”. Ma la narrazione, croce e delizia di questi anni, è presto fatta. Lui è il cattivo, l’inaffidabile, quello che, anche quando ce la fa, l’ha sfangata, un po’ come la sua squadra, ancestralmente incapace di proporre gioco e costretta a dipendere dal colpo del singolo.

I letterati definiscono metonimia la figura retorica per cui una parte rappresenta compiutamente il tutto. Materazzi è quindi la perfetta metonimia dell’Inter, schiavi entrambi delle fastidiose etichette appiccicate addosso negli anni. E come sappiamo, a furia di ripeterla, ogni favoletta diventa verità.

Materazzi esprime in pieno il prototipo di campione interista. Vincente? Sì. Forte? Sì. Bandiera? Sì. Però…

È ovvio che, per chi scrive, in quel “però” sta tutta l’acrimonia mediatica contro le mie amate strisce nerazzurre ma, aldilà delle mie paturnie, non capisco perché certi peccati di istinto, certi annebbiamenti di lucidità, certe reazioni sbagliate e spropositate a lui non siano mai state perdonate, mentre ad altri sì.

Un altro campione del mondo, di ruolo diverso ma di indole simile, ha invece sempre tratto forza e ricevuto sostegno proprio dall’“ignoranza” calcistica sparsa sui campi di mezzo mondo.

Il caso di Rino Gattuso, peraltro legato a Materazzi da un’amicizia fraterna, ci mostra come la stessa storia possa essere raccontata con due “condimenti” diversi.

Ringhio, prototipo del mediano dai piedi fucilati ma pronto a fare la guerra a centrocampo, sì è guadagnato il rispetto di tutti i tifosi italiani per la generosità e la grinta mostrata in tanti anni di onorata carriera. Nonostante falli brutti, reazioni peggiori e cartellini rossi in numero addirittura inferiore a quanto effettivamente meritato.

Materazzi, malgrado il sinistro ben educato e le decine di gol in carriera, passa alla storia del calcio da bar come il killer dell’area di rigore, contro il quale, addirittura, vendette premeditate passano in cavalleria all’insegna del “beh, se l’è cercata”.

Il tifoso nerazzurro, naturalmente, ragiona diversamente. L’interista vero, più dei grandi goleador o dei fantasisti fuoriclasse, ha probabilmente nel cuore i giocatori come Materazzi.

È come se la fede calcistica, invece di annebbiare i giudizi e far emergere la faziosità, riuscisse invece a mostrare certi giocatori sotto la loro luce più vera. Attenzione, non “migliore”: qui non siamo all’“ogni scarrafone è bello a mamma soja”. Qui si sta dicendo che lo scarafone in realtà è una bellissima farfalla, e si portano prove su prove a supporto della tesi che agli altri appare bislacca.

Il lancio di 50 metri con cui recapita il pallone sul destro di Vieri in un Reggina-Inter del 2002/2003, la perfetta punizione che risolve un Inter-Modena all’esordio del campionato seguente, la freddezza con cui trasforma per due volte il rigore che vale lo scudetto 2006/2007 sono le evidenze a supporto della tesi difensiva qui argomentata. Materazzi è stato, tecnicamente parlando, un difensore-della-madonna.

Ma alla storia passerà come il collezionatore di cartellini rossi, di risse da saloon, di provocazioni e litigate a favore di telecamera. Tutto vero, nessuno vuole dipingerlo come un santo.

Semplicemente, il racconto non è così banale. Ha ricevuto tutte le ammonizioni e le espulsioni che ha meritato, e pure qualcuna di più per il curriculum, esattamente come altri suoi “omologhi” di squadre diverse hanno beneficiato di attenuanti generiche in più di un’occasione, evitando ulteriori patacche alla loro fedina penale calcistica.

Fa parte del gioco, per carità. Ma non finisce qui.

Il mio personale cahier de doléance si conclude con un’ultima ma fondamentale riflessione, e cioè la sistematica omissione al lato personale del protagonista di questa storia, e quindi a tutto l’universo extra-campo.

La generosità, la riconoscenza e la delicatezza (sì, proprio quella) con cui ha voluto essere vicino a Giacinto Facchetti durante la malattia e celebrarlo dopo la sua scomparsa raccontano di una persona leale e capace di riconoscere gratitudine alle persone che lo hanno ispirato e stimolato.

Criticandolo anche, quando serviva, quando tu per primo capisci di aver bisogno di un paio di ceffoni morali, che ti facciano ritrovare la bussola. E questo, per quanto sia stato raccontato, a mio parere non è mai stato sottolineato a sufficienza.

Ancora una volta, là dove tanti altri hanno beneficiato della retorica ispirata al “cattivo sul campo, cuore d’oro nella vita di tutti i giorni”, in questo caso ci si è limitati alla prima metà della filastrocca …

chè tanto la seconda non interessa a nessuno, e la canzone suona bene così.

Non ci rimane che leggere il bellissimo libro di Mario Rucano “È Complotto” edito da Urbone Publishing: https://www.urbone.eu/products/e-complotto-considerazioni-di-uno-psicolabile-interista 

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